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Le realtà inventate da Google

Le realtà inventate da Google

14 Marzo 2013 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Uno studio di eBay suggerisce che molti dei milioni di euro spesi per posizionare i propri progetti in rete siano soldi buttati. Un avvertimento ad inserzionisti e aziende. Una riflessione sul ruolo di Google e su cosa è diventato il suo motore di ricerca.

Secondo lo studio di eBay il cosiddetto ‘ranking’ attraverso parole chiave ha poco o nessun effetto sul successo di un progetto e sulle vendite online. Nessuna sorpresa per chi sostiene da tempo che le scelte di Google stiano cambiando la natura stessa del motore di ricerca trasformandolo da strumento di ricerca in semplice potente strumento di business per una realtà sola, Google. Lo studio di eBay sostiene che la pubblicità online a pagamento, finalizzata a promuovere le parole chiave utili a portare accessi ad un sito o ad un acquisto online, non produce risultati tangibili vantaggiosi e misurabili.

Su questo modello Google ha costruito la sua fortuna ( 73 miliardi di dollari solo nel 2011 in USA ) riuscendo a persuadere gli inserzionisti che senza una adeguata spesa in ‘keywords adeverting’ non ci sarebbe alcun successo online per i loro prodotti e marchi.  Il rapporto di eBay sostiene che il ritorno sui tempi brevi è nullo e sul medio e lungo termini insignificante.

Lo studio dal titolo Consumer Heterogeneity and Paid Search Effectiveness: A Large Scale Field Experiment, riporta i risultati dell’indagine condotta e che evidenziano come la maggior parte delle persone coinvolte affermano di essere andate su un determinato sito senza utilizzare indicazioni o suggerimenti esterni con link a pagamento.

L’indagine sembra indicare che il ricorso al ‘keyword advertising’ non è nè sufficientemente persuasivo né viene ritenuto informativo a sufficienza da giustificare un clic da parte degli utenti. E come tale dovrebbe essere valutato dalle aziende inserzioniste.

Ad essere influenzabili sono i nuovi utenti e quelli che navigano in rete con minore assiduità. Quelli che frequentano la parte abitata della rete invece sembrano preferire percorsi diretti verso spazi conosciuti e nei quali si trovano a loro agio. Una indicazione forte sull’importanza della relazione, della fedeltà e della fidelizzazione.

Più della pubblicità, l’utente e il consumatore della rete sembra prediligere le marche e i marchi che forniscono valore aggiunto, conoscenze, autorevolezza e che usano tutto ciò allo scopo di coltivare la relazione e soddisfare i bisogni e le necessità del cliente.

Se il rapporto ha fotografato in modo realistico e veritiero la realtà, i soldi spesi in semplice pubblicità sembrerebbero essere buttati al vento, perché incapaci di attrarre nuovi clienti potenziali e di fidelizzare gli esistenti.

In assenza di promozioni specifiche, gli utenti usano il motore di ricerca in modo naturale. Secondo lo studio ciò non inficia i risultati finali in termini di visibilità e vendite online. Gli effetti sono gli stessi anche se le parole chiave promosse non sono associate ad una marca o ad un marchio, ad esempio “smartphone” invece di “smartphone Samsung”.

I risultati dello studio faranno felici i critici sempre più numerosi dei modelli di business che società come Google hanno imposto in modo sempre più monopolistico.

Alla pubblicazione del rapporto la reazione di Google è stata molto diplomatica e furba. Invece di criticare o mettere in discussione lo studio Google si è limitata a sottolineare come i risultati variano per ogni inserzionista. Una risposta che sembra suggerire che valga comunque la pena di fare delle sperimentazioni. E di continuare pertanto a spendere altri budget arricchendo le casse già ricche di Google.

Lo studio ha scatenato in rete, come era prevedibile una discussione animata e senza fine. I dialoganti o litiganti possono essere catalogati in due categorie: coloro che vedono nei link sponsorizzati un aiuto nel proprio processo di acquisto e coloro invece che accendono la propia black box nel tentativo di non farsi condizionare da operazioni marketing più o meno intelligenti e cognitivamente intrusive.

Tra i commenti interessanti segnali quelli che seguono, commenti nei quali sono sicuro molti di voi si riconosceranno come mi ci riconosco io:

  • Scarto ogni link sponsorizzato e vado volutamente sugli altri.
  • La personalizzazione della ricerca sta creando una visione distorta e filtrata della realtà (offerta). Come reazione bypasso ogni link seducente ma sponsorizzato.
  • Il fatto che qualsiasi parola chiave idiota e senza senso usata porti alla visualizzazione di link sponsorizzati indica che i soldi sono buttati via
  • Il fatto che una pubblicità o link sponsorizzato appaia nel posto sbagliato nel momento sbagliato non indica che la pubblicità con Google non paghi
  • AdWords funziona ma deve essere monitorato, calibrato e gestito quotidianamente. Se non ci sono risultati si interrompe immediatamente la campagna e non ci sono soldi buttati
  • Ho un piccolo portale e spendo per promuoverlo. Se interrompo l’investimento il traffico cala, quando lo riprendo risale (?????)
  • Se un marchio/marca ha già una sua visibilità non serve promuoverla. Se non ne ha la promozione attraverso Google è la risposta adeguata per un ranking e un aumento dei click garantito. 

Il commento più interssante che ho trovato con il quale condivido alcuni spunti ve lo lascio in inglese: 


I have worked in the SEM industry for over 6 years, and have helped a range of businesses improve their ROI from Google AdWords marketing. The question of whether to show paid ads for your brand terms comes up frequently among my clients. 

 

I agree with the eBay report that most businesses are probably wasting money showing paid ads from their brand terms, although from my experience this isn't due to the practice of showing ads for brand terms, but rather the execution in doing so.

When a business simply provides an ad message for their brand terms as a mere navigational link (i.e. so that they simply appear in the paid listings), they will probably notice that any increase in paid clicks from brand keywords is met with an equal decrease in organic (natural) clicks from brand keywords, with no added value being created.

However, paid ads for brand terms can create significant value for a business if the execution of the brand ad strategy is more involved than simply providing a mere navigational link:

1) Ability to control the messaging - businesses can run promotions and specials that the customer might not have known about

2) Ability to control the landing page - businesses can take visitors to a landing page of their choosing for offers, promotions, testing of conversion rates etc.

3) Sitelink ad extensions - businesses can use Google's sitelink ad extensions in their paid ads to promote parts of the website which are important to them but are not appearing well in organic listings

4) Immediacy - ad messages and landing pages for brand terms can be activated and paused quickly, or scheduled using Google's ad scheduling, which is great for time-sensitive offers, day of week promotions, product launches, new store openings etc.

None of these strategies are possible by relying on Google organic listings for brand terms. The problem is that most businesses simply provide a generic navigational link for their brand terms, and fail to realise the full potential of brand ads, hence the bleak findings in the eBay report. 

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