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Google, trasparenza e sorveglianza

Google, trasparenza e sorveglianza

07 Giugno 2017 Carlo Mazzucchelli
Carlo Mazzucchelli
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Tutti usiamo un motore di ricerca, in maggoranza quello di Google. Pochi si interrogano sulla trasparenza generata usandolo. Un numero ancora minore si interroga sull'uso che viene fatto dei dati e delle informazioni prodotte e delle tracce generosamente lasciate online. Pochissimi si interrogano sul ruolo che aziende come Google, ma anche Facebook o Amazon, svolgono oggi nella vita di ognuno. Ad esempio un ruolo di sorveglianza diffusa che si trasforma in dominio e controllo. Un tema centrale nel dibattito pubblico corrente dominato dalla necessità di maggiori controlli a causa delle minacce terroristiche incombenti.

Quando aziende come Google o Apple raggiungono i 500 miliardi di capitalizzazione si comprende quanto grande e diffuso sia diventato il loro potere e quanto questo potere possa incidere sulla vita di coloro che di queste aziende utilizzano dispositivi, piattaforme e servizi. I protagonisti dell'era tecnologica attuale, denominati, signori del silicio da Eugeny Morozov, condividono modelli di business e strategie e stanno contribuendo alla diffusione di una forma di società dove la sorveglianza è sempre più diffusa e Internet e i social network sono le piattaforme attraverso le quali essa si esercita.

Le tecnologie e le piattaforme di cui dispongono, permettono ai produttori di tecnologia di possedere sulle persone più dati di quanti non ne posseggano i servizi di sicurezza nazionali e di disporre di strumenti di sorveglianza in grado di mettere sotto controllo l'intera popolazione e non solo quella parte di essa che per motivi legali è stata posta sotto controllo stretto da parte delle forze di sicurezza.

Quella che è una realtà di sorveglianza diffusa emergente, ormai descritta da molti per gli effetti che sta generando, non è percepita come tale da tutti. Alcuni pensano che la sorveglianza di Google sia reale, altri temono che possa diventarlo paventando realtà distopiche prossime venture, altri credono che sia una cosa ridicola o che sia accettabile in cambio dei benefici e vantaggi che le piattaforme tecnologiche regalano a chi le usa.

Le tecnologie oggi disponibili permettono ai produttori di piattaforme di sapere dove si trovano gli utenti, cosa fanno, come si sentono, cosa stanno guidando e dove stanno andando. Dati che possono essere venduti a società di assicurazioni interessate a monitorare le attività dei loro assicurati allo scopo di assicurarsi e proteggere i loro guadagni e che permettono a Google di monetizzare dati e informazioni fornite liberamente dagli utenti che usano le sue applicazioni. Informazioni gratuite per guadagni sicuri, ma da parte di Google e non dell'utente.

Un gioco che non vale solo per le compagnie assicurative ma per qualsiasi attività industriale o imprenditoriale, per grandi aziende così come per semplici catene di ristoranti o pizzerie, carrozzerie o fornitori di servizi, tutti interessati ad avere informazioni in tempo reale da usare per le loro attività di comunicazione, marketing e commerciali.

Il dato più ricercato è quello comportamentale e che permette di definire stili di vita, abitudini, preferenze, frequentazioni e scelte di prodotto. Questi dati possono servire per personalizzare la comunicazione marketing, per affinare le proposte commerciali ma anche per limitare libertà. La sorveglianza possibile o esercitata attraverso il mezzo tecnologico solleva numerose questioni etiche legate all'identità e autonomia delle persone, al discorso pubblico, alla libertà individuale e alla democrazia.

Le nuove tecnologie e i Big Data stanno dando forma a un capitalismo della sorveglianza basato su un appetito vorace di dati e informazioni che sta determinando una mutazione del nostro sistema economico e della società assegnando poteri vasti e incontrollabili a poche aziende o entità, private e istituzionali. E' una mutazione che sta avvenendo in assenza di leggi e regolamentazioni adeguate e con il complice supporto degli utenti che fanno uso delle piattaforme tecnologiche, in massima parte ignari dei loro meccanismi, delle loro pratiche e relativi modelli di business. Internet era nata per favorire partecipazione sociale e conoscenza, oggi rischia di diventare uno strumento potente nelle mani di un numero limitato di multinazionali per nuove forme di accumulazione e di modelli economici.

I dati e le informazioni raccolte da aziende come Google non servono soltanto a rendere produttivo un modello di busines basato sulla pubblicità ma anche a prevedere il futuro grazie alla montagna di conscsenze sugli utenti costruite in anni di interazioni online. Queste conoscenze sono diventate un asset fondamentale che viene reinvestito continuamente in nuove esperienze utente nella forma di ricerche online. Ogni ricerca non fa che aumentare le conoscenze del motore di ricerca sulle persone che le eseguono e sui loro comportamenti permettendo la personalizzazione della comunicazione e interazione futura. Queste conoscenze hanno assunto nel tempo un valore immenso determinato dal ruolo che esse hanno assunto per numerose aziende sul mercato. L'utente che usa il motore di ricerca nei fatti è diventato un produttore al servizio di Google e un prodotto che Google vende. La ricerca e altri servizi di Google sono gratuiti ma solo perchè a Google ciò che interessa è quanto può guadagnare dalla vendita dei dati sui comportamenti degli utenti.

Che questo sia il modello di business di Google, e in modo simile anche di Facebook o Amazon, è ormai noto. Scarsa però è al momento la consapevolezza e la teorizzazione dei significati e degli effetti che sta producendo sulla società e nella vita reale delle persone. In particolare scarsa attenzione è finora stata posta al fatto che l'utente, gratificato con l'offerta di sempre nuovi dispositivi, canali, spazi online, ecc. in realtà si è trasformato in prodotto. Inserito in una filiera produttiva caratterizzata sempre più da tecnologie intelligenti, macchine capaci di apprendere, algoritmi sofisticati e processi usati per convertire informazioni personali e comportamentali in dati predittivi su comportamenti futuri delle persone. Il risultato di una pratica della sorveglianza, si  trasforma così in un perfetto meccanismo di generazione di surplus di capitale e profitto.

Il nuovo modello di business, sempre più fondato sulla raccolta di dati e sulla sorveglianza dei cittadini-consumatori rende sempre più difficile difendere la privacy individuale e la riservatezza dei dati personali. Difficile immaginare che Google o Facebook smettano di affinare i loro algoritmi e meccanismi software per la raccolta di dati. Se lo facessero è come se si votassero al martirio o al suicidio. Al contrario non lo faranno, in barba alle nuove legislazioni che potrebbero emergere e alle proteste di quei cittadini-consumatori che, diventati maggiormente consapevoli di ciò che stanno perdendo, hanno iniziato a manifestare il loro dissenso.

All'utilizzatore di strumenti tecnologici nel suo ruolo di utente, cittadino e consumatore non rimane che insistere nella richiesta di regole e leggi finalizzate a regolare il fenomeno della sorveglianza diffusa e a imporre regole ferree sull'uso di dati e informazioni. Da regolamentare sono anche le concentrazioni di aziende dotate di strumenti di produzione piattaforme tecnologiche, le loro politiche commerciali di vendita dei dati raccolti e i modelli di monetizzazione da esse costruiti.

Il problema della privacy, data ormai per erosa e indifendibile da tutti, continua a rimanere il tema centrale. Esercitare il diritto alla privacy significa esercitare il diritto alla scelta, ad esempio di condividere o limitare l'accesso ai propri dati personali. Il diritto alla privacy è un diritto politico che va difeso per difendere libertà e democrazia ma anche la propria autodeterminazione psichica e sociale e la dignità individuale di cittadini.

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